"...a determinare il valore che un libro può avere per me, non ha alcun rilievo che sia famoso o di moda. I libri non ci sono perché per un certo tempo tutti li leggano e li dimentichino come una notizia di sport o di cronaca nera: i libri vogliono essere goduti e amati con calma e serenità..."

Hermann Hesse

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Appello ai naviganti!
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Questo angolo di bosco del web, è aperto alla collaborazione Seria e Costante con disegnatori, registi e quanti vogliono usare le mie storie come soggetti per la loro creatività. L'unione fa la forza, al momento non prometto denari - non ci sono neanche per il sottoscritto - ma tanta gloria!

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venerdì 11 settembre 2009

Il giudice e il suo boia

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(...e allora siete tornati dalle vacanze??)



Non fatevi ingannare dal titolo, non si tratta dell'ennesimo serial giudiziario americano con avvocati e procuratori alla Perry Mason, bensì di un meno noto sceneggiato televisivo italianissimo dei bei tempi che furono...

A Berna l'anziano commissario Barlach (Paolo Stoppa), gravemente malato di fegato si vede assegnare il caso dell'omicidio di un tenente di polizia trovato morto nella sua auto. Viste le condizioni precarie di salute, chiede di essere assistito dal giovane e intraprendente Tschanz (Ugo Pagliai). Le indagini lo portano a incontrare un certo Gastmann (Glauco Mauri) vecchia conoscenza di Barlach, amico/nemico dell'anziano commissario con il quale ha scommesso quarant'anni prima che un giorno avrebbe compiuto il delitto perfetto sotto i suoi occhi e lui non avrebbe potuto incolparlo perché senza le prove. Intanto Tschanz è convinto che Gastmann sia il colpevole della morte del tenente e cerca di incastrarlo nonostante la posizione sociale altolocata dell'uomo renda le cose complicate, ma prima dell'inaspettato epilogo Barlach ha già capito tutto: sta giocando al gatto col topo e l'invito all'abbuffata finale ne è la riprova.


L'adattamento del soggetto in due sole puntate è tratto dal primo romanzo poliziesco dello scrittore svizzero Friedrick Durrenmatt, "Il giudice e il suo boia" appunto, del 1952.



La storia funge da pretesto per indagare quella che spesso è la netta divaricazione fra verità e giustizia umana e giudiziaria nonché dell'impossibilità di quest'ultima di arrivare alla stessa con i mezzi istituzionali - se ne discuteva già cinquant'anni fa e nella perfettina Svizzera! - infatti l'autore si chiede se è giusto incolpare qualcuno per un crimine che non ha commesso quando in realtà ne ha certamente commesso un altro per il quale non si hanno le prove, è il caso di Gastmann che Barlach vorrebbe incastrare ma... "Non sono mai riuscito a dimostrare che hai commesso tu il primo crimine, allora ti dichiaro colpevole di quest'altro" lo minaccia di fronte al belvedere di Berna, "Sei pazzo" risponde sprezzante e sicuro di sé l'altro.

E sarà proprio l'assassino che nel finale capirà quanto il vecchio commissario malato l'ha usato a proprio piacimento per incastrare l'avversario di una vita, proprio come fa il gatto col topo, pronunciando l'emblematica frase: "Allora lei era il giudice ed io il suo boia".

La regia della versione italiana trasmessa dalla Rai nel 1972 è stata affidata al veterano e capace Daniele D'Anza (Il Segno del Comando, L'amaro caso della Baronessa di Carini, tanto per citarne due stra-famosi) mentre nei panni di Barlach c'è un carismatico Paolo Stoppa, calato perfettamente nell'anziano uomo che ha già subodorato la verità dal principio, affiancato da un sempre bravo e convincente "aiutante" Ugo Pagliai e dal diabolico Glauco Mauri, biondo e luciferino. Lo sceneggiato è girato per buona parte in interni ma non mancano scene d'effetto come il ritrovamento del cadavere e il conseguente bizzarro comportamento dell'agente svizzero oppure la macabra filastrocca cantata dalla strana coppia di becchini (?) durante il funerale della sfortunata vittima. E come ogni poliziesco che si rispetti non mancano nemmeno i colpi di pistola, dosati.

Tra i meno celebrati dall'amarcord del web, tanto che ho trovato quell'unica misera foto e neanche rappresentativa, di Stoppa, che vedete, merita una visione perché il meccanismo drammatico messo in atto nel romanzo di Durrenmatt è quanto mai attuale e copiato negli anni avvenire tante di quelle volte che non immaginate.

Alla prossima... visione!


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PS. Qualche giorno fa questo quadernone di fantasticherie ha spento la prima candelina di pixel, un traguardo che non immaginavo così felice un anno fa, è un bebé e deve crescere, fa tutto da solo, è testardo e ha le idee chiare: rinforzare la palestra di scrittura e spazio per il cinema di genere, giovane o del passato riscoperto, e qualche novità. Se la "libertà è partecipazione" allora grazie di cuore a Voi tutti che leggete e ancor più lasciate un commento, registratevi e fatelo, le vostre emozioni sono - siete - preziosi per me.

2 commenti:

witchblue ha detto...

Come primo anno mi pare che il blog sia cresciuto e diventato sempre più dinamico e interessante, fuori dai soliti schemi di libri e film.

AUGURI!!!

Fabio Marangoni ha detto...

Grazie streghetta;-)

Ho cercato di dargli un'impronta personale ma non esclusivamente tale con la sezione del cinema ad esempio, altra mia passione, anch'esso particolare e non certo hollywoodiano, ma popolare.

A ritrovarci qui per festeggiare il secondo compleanno!

ciao,