Giovedì 5 gennaio è terminata l'interessante serie in prima visione - su Italia 1 - Sherlock, che proprio "serie" non è in quanto conta unicamente tre film veri e propri ispirati alla figura del celebre detective creato da Sir Arthur Conan Doyle, da sempre imitato e universalmente copiato, riproposto però con storie nuove e soprattutto contemporanee, il nostro infatti è un giovanotto sulla trentina, di mestiere fa "consulenze investigative", ha un cellulare con fotocamera che usa sulla scena del delitto, la connessione Internet e divide il suo appartamento al mitico 221B di Baker Street con un medico reduce dalla guerra in Afghanistan, un certo dottor Watson!
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Prima di vederlo, ero un po' scettico lo confesso, credevo fosse una specie di CSI visti i tempi, invece guardandola mi sono ricreduto in quanto l'idea dei creatori della serie Steven Moffat e Mark Gatiss, loro stessi fan del personaggio di Doyle, non ha snaturato la peculiarità del celebre investigatore londinese, anzi lo ha ben caratterizzato, la tecnologia è solo uno strumento in più nelle sue mani che non sminuisce la sua nota capacità deduttiva, così come non sono alterati i rapporti di forza con il fido Watson (Martin Freeman), che seguono la tradizione letterale di contrasto e stima, come anche il noto cinismo e la misoginia di Holmes avulso alle mode e al conformismo.
.Per fisionomia l'interprete di Sherlock, Benedict Cumberbatch mi ha ricordato subito il volto di un altro attore (confrontatelo con quello della simpatica foto tabagista!) che vestì i panni di un giovane Holmes in "Piramide di paura", pellicola di Barry Levinson del 1985, tuttora godibilissima, che visto il periodo e il grande successo strizzava l'occhio per atmosfere avventurose al primo film di Indiana Jones, "I predatori dell'Arca perduta" e guarda caso tra i produttori c'è lo stesso Spielberg; scene d'azione non mancano neanche in questa nuova serie inglese, ma senza esagerazioni hollywoodiane fracassone, piuttosto viene privilegiato lo scontro "corpo a corpo".

Uno studio in rosa, Il banchiere cieco e Il grande gioco sono i titoli dei tre film, tra fedeltà (e rimandi) agli scritti di Conan Doyle e velate citazioni cinematografiche, il tutto curato da una bella fotografia che sa rendere quel tanto che basta Londra misteriosa nella sua modernità e una regia non banale lo rendono intrigante dall'inizio alla fine, unico difetto? Il finale del terzo episodio, si conclude nel modo che farebbe saltare i nervi a qualunque fan e questo perché non è un vero finale, infatti proprio adesso stanno andando in onda i nuovi episodi alla tv inglese dove i precedenti sono stati un record di pubblico - l'hanno visto in nove milioni - mentre è stato stroncato dalla critica, nemo profeta in patria? No, soltanto i soliti parrucconi.