
Il libro è diviso in due parti, "Pupi Avati ha paura" e "Pupi Avati fa paura", dove la prima metà è un vero e proprio saggio dentro il saggio, tratta con metodo antropologico i luoghi dove tutto ha origine, ossia la Bassa Padana e il delta del Po, dove l'autore trascorre l'infanzia nel dopoguerra: gli usi, le superstizioni e le credenze di un mondo scomparso, quello della civiltà contadina, e in particolare della tradizione orale del sapere e del racconto tramandata attraverso la fola, una sorta di fiaba popolare narrata attorno al focolare nella stalla d'inverno e sull'aia d'estate, durante le pause dal lavoro nei campi. In queste fole c'era l'insegnamento morale per i più piccoli e spesso lo spavento, il gusto del macabro e la sospensione dalla dura realtà quotidiana mediante l'arte incantantrice affabulatoria.
Nella seconda parte si analizza con metodo e attenzione i titoli principali del gotico padano, si ricercano analogie e differe

.

.
Il libro è strutturato sugli interventi dello stesso regista raccolti durante una lunga intervista di quattro ore e riportati lungo tutto il testo.
Un plauso all'editore Le Mani, specializzato in cinema ma non solo, per la qualità del prodotto a un prezzo contenuto (15 euro, 244 pagg. compresi due curati inserti di foto a colori su carta lucida).

«Il cinema che sto facendo si confonde e si intreccia sempre più con la mia vita; ne faccio talmente tanto che ingombra tutta la mia giornata, per cui non so mai se sto girando un film o se sto vivendo. Ecco, per quanto mi riguarda, mi piacerebbe moltissimo morire in questa incertezza: sto morendo davvero o sto recitando una scena in cui muoio?»
Pupi Avati