"...a determinare il valore che un libro può avere per me, non ha alcun rilievo che sia famoso o di moda. I libri non ci sono perché per un certo tempo tutti li leggano e li dimentichino come una notizia di sport o di cronaca nera: i libri vogliono essere goduti e amati con calma e serenità..."

Hermann Hesse

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Appello ai naviganti!
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Questo angolo di bosco del web, è aperto alla collaborazione Seria e Costante con disegnatori, registi e quanti vogliono usare le mie storie come soggetti per la loro creatività. L'unione fa la forza, al momento non prometto denari - non ci sono neanche per il sottoscritto - ma tanta gloria!

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venerdì 27 agosto 2010

Gocce d'Argento

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«Ero giovanissimo, un bambino. Venni a Torino con mio padre, che doveva andarci per lavoro. Arrivammo di sera, pioveva, e subito la trovai una città bellissima. Aveva appena piovuto, le strade riflettevano la luce di questi lampioni, queste luci gialle... le strade luccicavano. Mi piaceva molto, aveva un’aria malinconica e nello stesso tempo inquietante. Non pensavo che avrei mai fatto il regista, ma ero sicuro che Torino sarebbe stata una città ideale per girarci dei film; anche se non conta la città in se stessa per rendere più o meno pauroso il film, perché dipende da come la si inquadra, da come la si illumina.»


Così racconta il primo incontro magico con la città della Mole Dario Argento, città che l'ha visto lanciare la moda del thrilling all'italiana, dei film coi titoli zoomorfi, del successo di Profondo Rosso:


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«Ho poi utilizzato diversi scenari italiani per i miei film, anche se spesso non li ho specificati. A Torino ho girato Il gatto a nove code, Quattro mosche di velluto grigio e soprattutto Profondo rosso. La villa si trova sulle colline della città, un edificio bellissimo, uno degli esempi più belli dell’art déco. L’ho scoperta per caso mentre giravo in auto in cerca di posti interessanti dove girare il film. La villa era in realtà un collegio femminile diretto dalle monache, e siccome ne avevamo bisogno per un mese – fra preparazione e riprese – offrimmo alle occupanti una bella vacanza estiva a Rimini, dove si divertirono tantissimo. Con noi restò una monaca-guardiano che sorvegliò le riprese con austerità.»

Villa Scott detta cosi dal nome del primo proprietario e disegnata per lui dall'architetto Pietro Fenoglio, la vedete nella foto, da allora è nota anche come "la villa del bambino urlan
te", merito di Dario Argento! Nonché meta di pellegrinaggio di appassionati della pellicola da tutto il mondo che non mancano di fare una foto davanti al cancello.
Ma non c'è solo il passato, il rapporto del regista romano con i set torinesi si è rafforzato molto nell'ultimo decennio, tra alti e bassi creativi: "Nonhosonno" (2001), "Ti piace Hitchcock?" (2005), "La terza madre" (2007, in parte girato a Roma e in parte a Torino) e "Giallo" (2009), inedito, che uscirà direttamente per l'home-video.
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«In piazza C.L.N. invece girai la scena in cui Lavia e Hemmings assistono all’omicidio della sensitiva, lì feci costruire appositamente un bar che si ispira al celebre quadro di Edgar Hopper, "Night Hawks", un’opera che mi piaceva molto»
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(tratto da: D. Argento, Prefazione a AA. VV., "Torino città del cinema", Il Castoro, Milano, 2001).

Sotto il quadro a confronto con la piazza che deve la sua particolare architettura "neoclassica" alla totale ristrutturazione avvenuta, insieme a via Roma, durante il fascismo e successivamente intitolata al Comitato di Liberazione Nazionale; le due allegorie poste sulle fontane ai lati rappresentano quella maschile il Po, quella femminile la Dora Riparia, i due fiumi che attraversano la città.
Pare che durante le riprese del film qualche passante scambiasse il locale fittizio per uno vero ed entrasse per prendere un caffé al "Blu Bar"!
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lunedì 9 agosto 2010

Nel mondo di Alice lo sai, le cose più strane vedrai...

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«Se cerchi di inseguire due conigli, finisci col perderli entrambi»
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Non l'ha scritto Lewis Carroll sognando un doppio del Bianconiglio e non è nemmeno la morale di una favola di Esopo, bensì l'ha detto... Grissom, proprio quello di C.S.I.
Non sono un assiduo però le repliche notturne delle prime "stagioni" mi hanno fatto riscoprire questa serie di successo che non conoscevo tantissimo e senz'altro il capo della scientifica è il mio personaggio preferito anche per via di queste sue frequenti chiuse filosofiche. "Meditate gente, meditate!"


E senz'altro i protagonisti del famoso telefilm avrebbero trovato pane per i loro denti dentro il Santuario Madonna delle Grazie di Volpiano.
Vi avevo anticipato di una scoperta al suo interno, risale all'anno scorso quando durante un restauro è stata rimossa la vecchia pavimentazione, nella terra sono state rinvenute alcune sepolture, due in particolare di epoche differenti: l'una in terra nuda, l'altra con lo scheletro adagiato in una cassa lignea.
Non c'è da stupirsi: nel Medioevo e fino all'Ottocento, era consuetudine che illustri personaggi e alti ecclesiastici venissero tumulati nei duomi e nelle cattedrali, mentre in una chiesetta campestre come quella in esame è probabile trattarsi di pellegrini di passaggio, magari diretti proprio per quella via Francigena tanto famosa. Tutto questo era illustrato e spiegato nel dettaglio nei cartelloni curati dalle Belle Arti e posti sotto il portico della chiesa lo scorso giugno, durante "Volpiano a Porte Aperte".
Attualmente le pareti sono state ridipinte con i vivaci colori originali rilevati sotto le precedenti tinteggiature fallaci, è stato posto un nuovo pavimento in pietra tranne dietro l'altare di marmo piemontese: lì si può vedere il perimetro di mattoni dell'abside risalente alla precedente costruzione più piccola dell'attuale, qui verrà posta una grata metallica per consentirne la visione in futuro.
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Se dopo questa pseudo relazione artistico-storica non siete anestetizzati né passati oltre, forse fate in tempo a prendere un frizzante aperitivo nel mio bar di fiducia, è qui sotto casa, l'insegna è quella col diavoletto baffuto e recita "Le ore piccole", entrate prego e... leggete!

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SOTTO SPIRITO

«Eccolo là il cliente affezionato, sempre al suo posto e con il pranzo al sacco!»
Al solito Berto deride il mio cliente più assiduo, un tale fisso allo stesso tavolo con una giacca lisa e una fiaschetta avvolta nella carta fino al collo. Sembra vecchio ma la sua età è un mistero. Svita l'ampolla a testa bassa e se ne versa nel bicchiere, poi rimesta e pesca dall'interno non so cosa con un lungo stecchino.
Qualche sera fa avrei giurato di veder evaporare una nebbiolina dal tappo, un gas imprigionato tra le pareti sporche del vetro. Senz'altro suggestione. O forse confusione dovuta al fumo sospeso nella stanza e alla foschia della notte.
D'altronde è anche possibile trattarsi dei vapori di conserve sotto spirito. Semplici sott'aceti dunque.
Berto non si vede da due giorni, strano. Il “mio cliente” invece non manca mai.
Lo noto come la prima volta e adesso sembra compiacersi della cattura di qualcosa di nero e butterato dalla bottiglia. Lo mastica con gusto. Poi sputa nella mano. Sembrano olive.
Ho chiesto in giro se qualcuno lo conosce, non dovrei, ma ormai è un chiodo fisso.
Mi infastidisce e attrae allo stesso tempo. Dovrei cacciarlo quel perdigiorno, non consuma nemmeno. La prossima volta non lo faccio entrare.
Ho telefonato a casa di Berto, è una settimana che non si fa vedere.
Dice che ha una brutta allergia, ha mangiato qualcosa che gli ha fatto male e ora è “tutto un pus”. Perplesso riattacco e riprendo a fissare lo strano tipo e il suo vaso di Pandora.
Ora dell'aperitivo. Anna aveva la voce strozzata, è riuscita appena a dire che l'hanno trovato al passaggio a livello, il treno l'ha sbalzato via, è malridotto ma riconoscibile, solo gli occhi non sono i suoi, sotto le lenti scure, Berto aveva centinaia di vinaccioli secchi.

FINE.
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