“Ancora un altro
giorno...
è ora di alzarsi.”
“Dicembre 1965: è da
questo giorno
che ho ereditato il
mondo,
sono solo tre anni
e mi sembra più di un
secolo.”
Prima (e unica ad oggi)
trasposizione cinematografica italiana del celebre romanzo di Richard
Matheson, diventato negli anni un vero classico della letteratura mondiale “Io sono
leggenda”, che ha avuto altre due versioni sul grande schermo
ovvero “1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra” con Charlton
Heston e la recente del 2007, omonima, con Will Smith.
La storia ha come
protagonista lo scienziato Robert Morgan (interpretato dal grande
Vincent Price, icona del cinema gotico dell'epoca) rimasto appunto
“l'ultimo uomo della Terra” dopo un'epidemia causata da un
virus che viene trasmesso via aerea per poi far ritornare i morti
sotto forma di “vampiri” assetati di sangue. Unica salvezza la
luce del sole che durante le ore diurne li costringe a rintanarsi
mentre di notte aglio e specchi li tengono lontani.
Di giorno l'uomo
da la caccia a questi "mostri" mentre di notte barricato nella sua casa
in solitudine riflette rassegnato sulla sua condizione aspettando la
fine, finché un mattino durante la sua uscita incontra una donna...

Diretto nel 1964, “L'ultimo uomo della Terra” è – colpevolmente - noto solo alla
cerchia più ristretta degli appassionati, invece ha un'importanza
seminale nel genere fantastico, come “I vampiri” o
“Caltiki” (entrambi di Riccardo Freda) sono capostipiti dell'horror
italico, questo film lo è, a ragione, di tutta quella sfilza di
pellicole catastrofiche, epidemiologiche, tuttora in voga soprattutto
a Hollywood, e visti i tempi che viviamo... inoltre la sua modernità – merito del romanzo e della fedeltà a esso –
negli assalti notturni dei “ritornanti” alla casa dello
scienziato sembra di vedere quelli successivi e più celebri quanto
speculari de “La notte dei morti viventi” e sequel vari, che il
giovane George Romero futuro “papà degli zombi” in quel di
Pittsburgh abbia visto questa pellicola prima d'altri?!
“Non si può arredare un cimitero
e chiamarlo casa!”
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