Carissimi tutti,
per cominciare bene auguro un buon 2009 a quei pochi esigui amici che seguono fedeli e ostinati questo mio altalenante blog e a quegli altri ancora più esigui, direi esili..., che chissà come sono finiti qui senza conoscermi affatto - alzate la manina così faccio la conta e lasciate un commento bello o brutto, non vi faccio pagare il biglietto la prima volta, promesso - prima di lasciarvi là dove ho concluso l'anno scorso, ossia con la terza parte conclusiva del soggetto-racconto ispirato a "Torinoir".
Quindi anno nuovo, storia vecchia direte, a parte il fatto che è inedita, ma l'altra notte, non ricordo in quale trasmissione penso Rai edu, dicevano che nel mondo antico il passato era rappresentato davanti all'uomo perché rifugio sicuro e conoscenza palese, mentre il futuro vago si protendeva alle nostre spalle come un'incognita sul domani: il contrario del concetto moderno.
Ancora una segnalazione, a questo link potete leggere la recensione on-line a "Mangiami!" - già qui pubblicata - fatta da Simonetta De Bartolo all'interno della sua bella rubrica di libri sul sito di Patrizio Pacioni:
3^ PARTE.
Da via Po fino a piazza Castello è una linea retta arancione e nera nella notte umida.
La chiesa sotto i portici (ps. non ricordo il nome…) è aperta, ma nessuno si ferma. Alle due di notte non è prevista alcuna funzione.
Qualcuno corre per prendere il quattro fermo in mezzo alla via. Il tram vuoto riprende la marcia fischiando. Dentro la chiesa suona una specie di requiem, sembra un funerale notturno.
Una macchina scura si ferma davanti, in sosta vietata. Ha fretta, scende, sbatte la portiera e corre. Spalanca la porta, dentro è solo buio e silenzio.
Subito si accorge che il pavimento di marmo lucido è bagnato: ci sono delle gocce fino all’altare addobbato per una funzione che non si celebrerà. In quell’istante una carrozzina viene lanciata da una navata laterale in mezzo alla due file di banchi, si scontra con il primo, si rovescia mentre la ruota continua a girare. Legato al bracciolo, come un braccialetto, c’è un farfallino da smoking (quello del nano).
Guido inizia a temere il peggio per Berto. È sicuro che anche lui sia lì. Ha letto il messaggio sulla banconota e si è fatto fregare: i soldi, sempre loro di mezzo.
Non l’aveva notato prima: ai piedi dell’altare c’è una valigia. Una ventiquattrore nera, comunissima, bell’apposta illuminata dal cero. Ora capisce le cifre segnate con quella spaziatura, ne ha viste a decine: è la combinazione per aprirla.
Corre senza perché, ma sa che deve fare in fretta. Prima l’apre è meglio è. Non importa cosa contiene, conta solo aprirla adesso.
La chiesa sotto i portici (ps. non ricordo il nome…) è aperta, ma nessuno si ferma. Alle due di notte non è prevista alcuna funzione.
Qualcuno corre per prendere il quattro fermo in mezzo alla via. Il tram vuoto riprende la marcia fischiando. Dentro la chiesa suona una specie di requiem, sembra un funerale notturno.
Una macchina scura si ferma davanti, in sosta vietata. Ha fretta, scende, sbatte la portiera e corre. Spalanca la porta, dentro è solo buio e silenzio.
Subito si accorge che il pavimento di marmo lucido è bagnato: ci sono delle gocce fino all’altare addobbato per una funzione che non si celebrerà. In quell’istante una carrozzina viene lanciata da una navata laterale in mezzo alla due file di banchi, si scontra con il primo, si rovescia mentre la ruota continua a girare. Legato al bracciolo, come un braccialetto, c’è un farfallino da smoking (quello del nano).
Guido inizia a temere il peggio per Berto. È sicuro che anche lui sia lì. Ha letto il messaggio sulla banconota e si è fatto fregare: i soldi, sempre loro di mezzo.
Non l’aveva notato prima: ai piedi dell’altare c’è una valigia. Una ventiquattrore nera, comunissima, bell’apposta illuminata dal cero. Ora capisce le cifre segnate con quella spaziatura, ne ha viste a decine: è la combinazione per aprirla.
Corre senza perché, ma sa che deve fare in fretta. Prima l’apre è meglio è. Non importa cosa contiene, conta solo aprirla adesso.
È troppo tardi quando riconosce le scarpe di Berto lungo disteso davanti al primo banco. Un colpo alla nuca lo fa cadere a terra privo di sensi. Quasi addosso alla carrozzella vuota. Una carcassa di ferro svuotata, una trappola mortale.
Dall’ombra emerge una figura vestita di scuro. Indossa l’abito da prete. Si avvicna all’altare e guarda i due distesi, poi la carrozzina. Sorride, divertito.
Dall’ombra emerge una figura vestita di scuro. Indossa l’abito da prete. Si avvicna all’altare e guarda i due distesi, poi la carrozzina. Sorride, divertito.
Linda non è andata a casa dopo il night. Ha fatto il bravo piccione viaggiatore solo che non è tornata dal padrone stavolta, il messaggio se l’è tenuto per lei.
In tre anni ha sopportato di tutto pur di lavorare, una separazione a ventitrè anni ti costringe a fare delle scelte. Ora ha la possibilità di svoltare, di cambiare e dire addio a tutto, al palo del night e a quello dei clienti. Il messaggio è chiaro. Le istruzioni pure, basta andarli a prendere.
Da tempo sa dei traffici del nanetto e questa è la sua occasione.
Un tizio di corsa la fa quasi cadere mentre scende dal quattro proprio davanti alla chiesa.
“Chiesa xxx… sono stato ai patti. Prendila e lasciami in pace. Requiem”.
Ci deve essere qualcosa di importante. Di valore. Requiem non sa chi sia. Mai sentito. Ma ha l’aria di uno che ha un debito col nano e i conti con lui sono sempre salati.
Quando entra in chiesa sente un brivido lungo la schiena. È venuta con la divisa del post-lavoro: stivali a mezza coscia, mini, e giubbetto aperto. Per fare la vamp.
Non c’è nessuno, ma l’altare è illuminato da ceri come il centro di un palcoscenico. Intorno il buio. In quel momento nota la valigetta: l’unico arredo fuori luogo. Va verso di lei. Prendila e lasciami in pace.
Si china, l’afferra e… qualcuno la spinge contro l’altare, faccia in giù. È forte e non riesce a muoversi. La tiene pressata giù, infila una gamba tra le sue e la costringe ad aprirle. Lo sente addosso, sul collo e sul culo che spinge. Si accorge che ha mani delicate, morbide, dita lunghe che con leggerezza s’infilano sotto la gonna, sulla pelle calda, scoprono la schiena…
“Requiem?”
La domanda lo spiazza. È il momento, non ha lasciato la presa della valigia e con quella gli sventola un colpo con tutte le forze, ma ha fatto male i conti. La ventiquattrore non è chiusa e nell’urto si apre in aria rovesciando il suo prezioso contenuto.
L’uomo perde l’equilibrio e cade all’indietro, lei resta immobile. Non può crederci. Uno scheletro di ferro. Ha rischiato la vita per quello. Per una volta aveva ragione il bastardo: “E' una questione personale, mi raccomando”, infatti lei non sa che farsene di due gambe.
Sul pavimento c’è una protesi per deambulare: due barre di lega speciale piegate e il calco dei piedi spezzato rotolato sotto l’acquasantiera.
Da tempo sa dei traffici del nanetto e questa è la sua occasione.
Un tizio di corsa la fa quasi cadere mentre scende dal quattro proprio davanti alla chiesa.
“Chiesa xxx… sono stato ai patti. Prendila e lasciami in pace. Requiem”.
Ci deve essere qualcosa di importante. Di valore. Requiem non sa chi sia. Mai sentito. Ma ha l’aria di uno che ha un debito col nano e i conti con lui sono sempre salati.
Quando entra in chiesa sente un brivido lungo la schiena. È venuta con la divisa del post-lavoro: stivali a mezza coscia, mini, e giubbetto aperto. Per fare la vamp.
Non c’è nessuno, ma l’altare è illuminato da ceri come il centro di un palcoscenico. Intorno il buio. In quel momento nota la valigetta: l’unico arredo fuori luogo. Va verso di lei. Prendila e lasciami in pace.
Si china, l’afferra e… qualcuno la spinge contro l’altare, faccia in giù. È forte e non riesce a muoversi. La tiene pressata giù, infila una gamba tra le sue e la costringe ad aprirle. Lo sente addosso, sul collo e sul culo che spinge. Si accorge che ha mani delicate, morbide, dita lunghe che con leggerezza s’infilano sotto la gonna, sulla pelle calda, scoprono la schiena…
“Requiem?”
La domanda lo spiazza. È il momento, non ha lasciato la presa della valigia e con quella gli sventola un colpo con tutte le forze, ma ha fatto male i conti. La ventiquattrore non è chiusa e nell’urto si apre in aria rovesciando il suo prezioso contenuto.
L’uomo perde l’equilibrio e cade all’indietro, lei resta immobile. Non può crederci. Uno scheletro di ferro. Ha rischiato la vita per quello. Per una volta aveva ragione il bastardo: “E' una questione personale, mi raccomando”, infatti lei non sa che farsene di due gambe.
Sul pavimento c’è una protesi per deambulare: due barre di lega speciale piegate e il calco dei piedi spezzato rotolato sotto l’acquasantiera.
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FINE.
2 commenti:
Peccato che il progetto sia rimasto incompiuto, la trama mi è sembrata avvincente. Ci sono speranza che si faccia prima o poi???
Ciao!
Eh si peccato, ma anche sulla carta sa il fatto suo, proprio per questo mi son deciso a pubblicarlo qui;-)
Il cortometraggio? Quei due non li ho più sentiti e dubito fortemente abbiano concluso qualcosa... e cmq sarebbe stato molto diverso dalla mia storia.
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