Non potevo concludere - per il momento - lo spazio dedicato al mio ultimo libro pubblicato, con una bella e approfondita recensione firmata da Simonetta De Bartolo e pubblicata sul seguito portale di nuova letteratura Kultunderground:
"Il lettore è avvertito dal titolo, Mangiami, che sta per incamminarsi in un percorso di paura, ma proprio per questo, subito, "la tema si volve in disio" e si addentra in… piccole perle della letteratura dell’orrido, attratto dalla descrizione, carica di crudo realismo, degli aspetti più malati della psiche umana, del putridume morale e di quello materiale che offendono i sensi e non solo.
Mangiami , già con l’efficace copertina di Fabiano "Deimos" Zaino, con "Mangia, mangia…", l’intelligente premessa di Fabio Marangoni, curatore dell’ "antologia cannibala", ci assicura che l’appetito verrà mangiando. Introdotto da una naturale dolcezza di musica, colori e profumi, ma in un’atmosfera misteriosa e un po’ fiabesca, Il banchetto di Matteo Gambaro propone un assaggio preparatorio, durante… un plenilunio.
Carname di Fabio Marangoni si distingue per la consistente impalcatura narrativa e la vis descrittiva, che ci fa pensare, quest’ultima, ad una forte "presenza" dello scrittore nella contestualità della narrazione. La carne non tradisce di Marco Cartello fonde in modo ben articolato l’horror e una puntuale analisi psicologica.
Se Il sogno di un bambino di Raffaele Serafini fa nascere il desiderio di rivalsa di una condizione d’impotenza, di un senso d’inferiorità e se Nero è polpa di Antonio Favero, breve, ma originale e significativo racconto, dimostra che la violenza sui minori non si estingue con la cosiddetta civilizzazione, Il giusto epilogo di Veronica Squizzato, racconto brevissimo, ma efficace, procede ad un’interpretazione esagerata, in chiave moderna, di una favola e di "quello che non si racconta ai bambini", e, così, l’elemento fiabesco, in Abbondanzieri di Claudio Foti, si carica di esasperati aspetti truculenti.
Se in Canis caninam non est di Carmine Cantile l’interpretazione da parte degli indigeni della parola di Cristo desta nel lettore sgomento e amaro sorriso e La cena di Natale di Malcom Vallet, attraverso una situazione socialmente difficile e realmente possibile, progredisce verso una tragedia familiare di sangue e cannibalismo, in Carne di gabbiano di Alberto Priora, l’antropofagismo, presente in tanta letteratura e nel cinema, viene trattato, in relazione agli effetti psicologici, come elemento di sopravvivenza.
In La valigia di Lombello Edoardo, in cui il desiderio del sacrificio di Cristo come elemento necessario per la vera vita presenta analogie con lo stesso tema del Vangelo di Giuda di Antonio Bica, in Gambe di Michele Tosolini e in Un matto, una mattina di Mario Malgieri la psiche turbata disumanizza completamente i protagonisti. In Il frigorifero di Vito Ferro, l’horror viene introdotto e accresciuto gradualmente, ma poi lasciato, nell’evoluzione finale, all’immaginazione del lettore.
Uno di quei giorni gialli di Alberto Manca è senz’altro originale ed efficace per la vis immaginifica e, dulcis in fundo, per la trovata finale.
In Come noi di Mario Gazzola l’horror investe la problematica dell’esperimento scientifico che viola la natura, che, a sua volta, si vendica.
Uno di quei giorni gialli di Alberto Manca è senz’altro originale ed efficace per la vis immaginifica e, dulcis in fundo, per la trovata finale.
In Come noi di Mario Gazzola l’horror investe la problematica dell’esperimento scientifico che viola la natura, che, a sua volta, si vendica.
E’ come se i racconti di quest’antologia tenessero a bada le nostre ansie e le nostre paure portando agli estremi l’orrore della più recente cronaca nera. Carichi d’immagini nauseabonde, ma nitide, realistiche, lontane dalla sfera onirica, ci fanno rabbrividire, inorridire per l’efferatezza di menti sofferenti e malate, "…l’istinto dei folli vigila le spalle dei ragionevoli" (da Carname di Fabio Marangoni), ma, nello stesso tempo, almeno per certi aspetti, richiamano alla mente i grandi maestri dell’orrido, fra cui, perché no, Dante Alighieri, che, nel XXXIII canto, vv. 1-3, dell’Inferno, presenta il conte Ugolino della Gherardesca, che, per l’eternità, rosicchia il cranio dell’arcivescovo Ruggieri:
"La bocca sollevò dal fiero pasto
Quel peccator, forbendola a’ capelli
Del capo ch’elli avea di retro guasto".
Simonetta De Bartolo
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